L’Etna nasconde un segreto, la dimora e la tomba di Re Artù: leggenda o realtà ?

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La storia di Re Artù è di per se avvolta da un’aura di mistero e leggende che da sempre accompagnano i giovani studenti e lettori. Ma, è possibile che un re giunto dal nord abbia vissuto in Sicilia ed in particolare sull’Etna ? Forse c’è un fondo di verità oppure è solo mera fantasia: certo è che le storie su Re Artù affascinano sempre, anche nel ventunesimo secolo.

Tra due epoche

Re Artù è passato alla storia in primis per aver creato quel nobile drappello di cavalieri denominati “Cavalieri della Tavola Rotonda” e per aver estratto la “spada dalla roccia”. Un esempio di monarca illuminato che però non trova collocazione nella storia, anche se viene posto nel periodo medievale, Artù secondo alcuni potrebbe essere stato un comandante romano vissuto tra il V e il VI secolo. Se fosse così, i racconti ci parlano della sua presunta morte durante la battaglia tra Bretoni e Sassoni dove questi ultimi ne uscirono da vincitori. Si parla di presunta morte, perché secondo alcuni Artù non morì realmente ma venne portato in un’isola magica dove la morte non lo avrebbe mai toccato.

Tra storia e leggenda

Ma quali sono le storie o le leggende su Re Artù ? In Sicilia ne abbiamo tre e sono quelle di Gervasio da Tilbury, Cesario di Hesteirbach e Stefano di Borbone.

  • Gervasio da Tilbury, giurista e scrittore inglese, parla di questa leggenda che avvolge Artù nella sua opera “Otia imperialia”  del 1214 e così scrive:

“In Sicilia è il monte Etna, ardente d’incendii sulfurei, e prossimo alla città di Catania, ove si mostra il tesoro del gloriosissimo corpo di sant’Agata Vergine e martire, preservatrice di essa. Volgarmente quel monte dicesi Mongibello; e narran gli abitatori essere apparso ai dì nostri, fra le sue balze deserte, il grande Arturo. Avvenne un giorno che un palafreno del vescovo di Catania, colto, per essere troppo ben pasciuto, da un subitano impeto di lascivia, fuggì di mano al palafreniere che lo strigliava, e, fatto libero, sparse. Il palafreniere, cercatolo invano per dirupi e burroni stimolato da crescente preoccupazione, si mise dentro al cavo tenebroso del monte. A che moltiplicar le parole? Per un sentiero angustissimo ma piano, giunse il garzone in una campagna assai spaziosa e gioconda, e piena d’ogni delizia; e quivi, in un palazzo di mirabil fattura, trovò Arturo adagiato sopra un letto regale. Saputa il re la ragione del suo venire, subito fece menare e restituire al garzone il suo cavallo, perché lo tornasse al vescovo, e narrò come, ferito anticamente in una battaglia da lui combattuta contro il nipote Modred e Childerico, duce dei sassoni, quivi stesse già da gran tempo, rincrudendosi tutti gli anni le sue ferite. E, secondochè dagli indigeni mi fu detto, mandò al vescovo suoi donativi, veduti da molti e ammirati per la novità favolosa del fatto”.

 

  • Il secondo autore è Cesario di Hesteirbach, abate e priore cistercense e ne parla intorno al 1200 e somiglia molto alla versione di Gervasio:

“Nel tempo in cui l’imperatore Enrico soggiogò la Sicilia, era nella Chiesa di Palermo un decano, di

Cesario di Hesteirbach

nazione, secondo ch’io penso, tedesco. Avendo costui, un giorno, smarrito il suo palafreno, che ottimo era, mandò il suo servo per diversi luoghi a farne ricerca. Un vecchio, fattosi incontro al servo, gli chiese: Dove vai? e che cerchi?. Rispostogli da quello che cercava il cavallo del suo padrone, soggiunse il vecchio: Io so dov’è – E dove? – Nel monte Gyber, in potere del re Arturo, mio signore. Quel monte vomita fiamme come Vulcano. Stupì il servo in udire tali parole, e l’altro soggiunse: Dì al tuo padrone che da oggi a quattordici dì venga alla corte solenne di lui; e sappi che tralasciando di dirglielo, sarai punito aspramente. Tornato addietro, il servo espose, non senza timore, quanto aveva udito. Il decano si rise di quell’invito alla corte del re Arturo; ma, ammalatosi, morì il giorno prestabilito”.

 

  • L’ultimo, ma non meno importante a parlare è Stefano di Borbone, frate domenicano e inquisitore scrisse un trattato sugli “errori della fede”, una sorta di manuale. Anche in questo caso, Stefano ne parla sempre intorno al 1200 e racconta:

“Udii narrare a un frate di Puglia, per nome Giovanni, il quale diceva esser ciò avvenuto dalle sue parti, che cert’uomo, andato in traccia del cavallo del suo signore su pel monte presso a Vulcano, ove si crede sia il purgatorio, vicino alla città di Catania, trovò secondo gli parve, una città, che aveva una postierla di ferro, e a colui che la custodiva chiese notizia del cavallo che andava cercando. Il custode gli rispose che n’andasse sino alla corte del principe, il quale, o gliel farebbe restituir, o gliene darebbe notizia; e richiesto dall’altro, in nome di Dio, di alcuna norma circa quell’andata, soggiunse badasse bene di non mangiare di nessuna vivanda che potesse essergli offerta. Parve al cercatore di vedere per le vie di essa città tanti uomini quanti ne sono al mondo, di ogni generazione e condizione. Passando per molte sale, giunse ad una, ove scorse il principe circondato dà suoi. Ecco gli offrono molti cibi, ed ei non vuole di gustar di nessuno: gli mostrano quattro letti, e gli dicono che l’uno d’essi è apparecchiato pel suo signore, gli altri tre per tre usurai. E gli dice il principe che al signor suo e ai tre usurai assegnava certo giorno come termine perentorio a comparire, e che mancando, sarebbero menati a forza; e gli dà un nappo d’oro, e lo ammonisce che non l’apra, ma lo rechi in segno della cosa, al padrone, perché questi beva della sua bevanda; e, di giunta, gli fa restituire il cavallo. Se ne torna il famiglio; adempie il precetto: s’apre il nappo e ne schizza fiamma; si getta il nappo nel mare e il mare si accende. Quei quattro, sebbene confessi ( per timore solo, e non per penitenza ) il dì assegnato sono rapiti sopra quattro cavalli neri”.

Alla ricerca di Artù

E se quella isola magica di cui parlano gli antichi scrittori non fosse Avalon ma la Sicilia ? Purtroppo di tracce in merito a ciò non ne abbiamo e neanche sulla sua tomba però forse la leggenda di Re Artù è stata portata in Sicilia dai Normanni e probabilmente è destinata a far sognare chi la ascolta. È possibile scoprire se realmente Artù è sepolto sull’Etna ? Beh si certo, un modo c’è, armarsi di buona volontà, scarponi, zaino e andare a fare un’escursione su questa “muntagna” che di certo lascerà tutti a bocca aperta per la sua magnificenza.

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