Il processo di beatificazione di don Oreste Benzi si sposta a Roma
4 min readSi è chiuso in questi giorni il processo diocesano della causa di beatificazione di don Oreste Benzi. Dopo cinque anni, tutti i documenti (e pare siano tanti) relativi alla fama di santità del sacerdote romagnolo verranno spediti alla Congregazione delle cause dei santi per continuare il percorso di beatificazione.
Fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII e suo responsabile generale fino al giorno della morte (2 novembre 2007), don Oreste Benzi dedicò l’intera esistenza agli ultimi e a coloro che per vari motivi, sono senza famiglia. «Voi – aveva affermato Giovanni Paolo II incontrando la Comunità Papa Giovanni XXIII nel novembre del 2004 – siete ben consapevoli che l’azione caritativa verso i fratelli assume il suo pieno valore quando si fonda sul primato dell’amore di Dio. Per dare autentico amore ai fratelli è necessario attingerlo in Dio. Per questo opportunamente voi dedicate soste prolungate alla preghiera, all’ascolto della Parola di Dio, e fondate tutta la vostra esistenza su Cristo».
Anche papa Benedetto XVI in due diverse circostanze ricordò la figura del santo sacerdote: nel telegramma di cordoglio per la morte di don Oreste Benzi, definendolo «umile e povero sacerdote di Cristo… È stato un infaticabile apostolo della carità a favore degli ultimi e degli indifesi facendosi carico di tanti gravi problemi sociali che affliggono il mondo contemporaneo», e al termine dell’udienza generale del novembre 2009 (due anni dopo la morte di don Benzi), rivolgendo alla Comunità Papa Giovanni XXIII queste parole: «Cari amici, la feconda eredità spirituale di questo benemerito sacerdote sia per voi stimolo a far fruttificare nella Chiesa e per il mondo la provvidenziale opera da lui iniziata a favore degli ultimi della nostra società. Vi accompagno volentieri con la preghiera».
Papa Francesco recentemente affermava: «Lo sapeva molto bene Don Oreste Benzi, il fondatore della vostra Associazione. Il suo amore per i piccoli e i poveri, per gli esclusi e gli abbandonati, era radicato nell’amore a Gesù crocifisso, che si è fatto povero e ultimo per noi. La sua coraggiosa determinazione nel dare vita a tante iniziative di condivisione in diversi Paesi sgorgava dal fiducioso abbandono alla Provvidenza di Dio; scaturiva dalla fede in Cristo risorto, vivo e operante, capace di moltiplicare le poche forze e le risorse disponibili, come un tempo moltiplicò i pani e i pesci per sfamare le folle» (Discorso 20 dicembre 2014).
Nell’aprile del 2014, all’inizio della fase diocesana del processo di beatificazione, le testimonianze e le lettere che sostenevano la fama di santità di don Oreste Benzi erano tante. Si parlò infatti – oltre alle testimonianze raccolte in seno alla Comunità Papa Giovanni XXIII – delle lettere di nove cardinali, quarantuno vescovi italiani e undici vescovi e arcivescovi stranieri.
Per comprendere la caratura di questo santo sacerdote, basta ricordare questa sua considerazione: «A 17-18 anni – diceva don Oreste Benzi – ho capito il messaggio che mio padre mi dava. Lui apparteneva a quella categoria di persone che reputano di non valere nulla, che chiedono quasi scusa di esistere. Quando io incontro il povero, l’ultimo, il disperato, quelli che sono alla stazione, quelli che sono sul marciapiede, in me si rifà presente quel momento in cui ebbi quell’impressione profonda di mio papà che riteneva di non valere niente»; e infine concludeva: «Quando vedo il povero disarmato, quel tipo di povero che è talmente cosciente di essere povero che quasi ti chiede scusa di esistere, io Don Oreste, in quel momento non vedo altro se non Dio».
A tal proposito il teologo carmelitano Antonio Maria Sicari scrive: «Anche Don Benzi – e, se possibile, in maniera ancora più decisa di altri – non soltanto vedeva Cristo nei poveri, ma “vedeva i poveri in Cristo”: li vedeva (per usare una sua espressione) “stampati in Lui”, che li portava in Sé (e li aveva già abbracciati sulla Sua Croce!). La differenza è a volte decisiva, per sfuggire ad ogni proiezione ideologica!».